Cosa accadrà se, dopo la ripartenza, dovesse verificarsi una positività al Covid-19? E’ il problema principale che il comitato tecnico scientifico dovrà affrontare e risolvere
Il calcio vuole ripartire. Lo vogliono le squadre ed i calciatori, forse meno i tifosi che non potranno assistere alle gare, ma anche per via dei tanti lutti che il Coronavirus ha provocato in poco meno di due mesi. Di certo, per ripartire, però, ci vogliono regole chiare su tutti gli aspetti e, come riporta La Gazzetta dello Sport, il tema principale resta cosa accadrebbe nel caso in cui dovesse verificarsi un nuovo contagio dopo che il campionato fosse ripartito.
Su questo fronte, spiega La Rosea, il protocollo bis dovrà comunque prendere atto della necessità di una quarantena di due settimane per il calciatore, o membro dello staff, contagiato. E i suoi contatti ravvicinati. Un’area di persone che si allargherebbe nel caso tutto questo si verificasse già nella fase di ripresa agonistica. Fermarsi due settimane significherebbe azzerare il progetto ripartenza. Perché uno stop del genere stroncherebbe un alendario che dovrebbe procedere a tutta velocità per arrivare al traguardo del 2 agosto, la scadenza Uefa per terminare i campionati. È questa possibile variabile della scena che ha portato Spadafora ad avere un atteggiamento sempre meno fiducioso verso la ripartenza fino alla frase di qualche giorno addietro, «il sentiero sempre più stretto», che è sembrata quasi una condanna già scritta.