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Gabriele: «I giovani potevano essere il futuro del Trapani»

Intervista ad uno degli ex dalla più lunga militanza nel club granata. Ha ricoperto più ruoli in più riprese

Mario Gabriele si definisce “l’antipersonaggio della città e del mondo del pallone“. Sempre disponibile al telefono, ma ci pensa un po’ prima di concedere un’intervista pubblica. Gabriele è stato il giovane trapanese che ha giocato per la squadra della propria città, il viceallenatore in prima squadra, l’allenatore delle giovanili ed, infine, anche il responsabile del vivaio granata. Un simbolo trapanese nel Trapani, fatto anche di arancine e pizzette fredde quando andava a visionare giovani in ogni angolo di Sicilia.

Gabriele ha rilasciato una lunga intervista a trapanigranata.it per raccontare il suo senso di appartenenza nel mondo del pallone e del suo Trapani, con cui ha lavorato fino all’estate del 2019. Dopo l’esperienza nel Trapani ha intrapreso una collaborazione da tecnico in una scuola calcio palermitana, ma, considerato il periodo storico, ha dovuto sospendere momentaneamente le proprie attività, in attesa della regolare ripresa della vita, senza vincoli da covid.

IL CORONAVIRUS

«Il coronavirus ha destabilizzato la vita di ognuno di noi, intaccandola in maniera più o meno incisiva. Sono state fatte delle normative che sono contraddittorie fra di loro: nonostante siano dei coetanei, ad esempio, i campionati provinciali inizialmente non li hanno fatti partire, al contrario di quelli regionali. Io avrei fermato tutto per un breve periodo perché comunque sono dei campionati che hanno perso fascino ed interesse e, tra questi, metto anche la serie A. Ci sono squadre che purtroppo vengono penalizzati da questo virus, le partite che vengono rinviate e poi recuperate: non mi piace questa situazione. Capisco, però, che gli interessi siano enormi».

LA GIOIA PIÙ BELLA

«Nonostante non avessi merito alcuno, il momento più bello per quanto mi riguarda è la vittoria del campionato della Lega Pro, con la prima promozione storica del Trapani in serie B. Insieme al dottore Mazzarella ero colui il quale aveva la più lunga militanza nella società e la prima promozione in B mi ha fatto parecchio commuovere. Anche giocare per il Trapani è qualcosa che mi è rimasto dentro e che mi manca nelle piccole cose, come l’odore dell’erba naturale e la sinfonia dei tacchetti in alluminio nei sottopassaggi. Probabilmente questo mio modo di enfatizzare il senso di appartenenza mi ha fatto vivere le mie avventure in maniera troppo intensa, ma lo rifarei altri mille volte».

I SUOI GIOVANI

«I giovani del Trapani parlano da sé. Filì l’ho preso dal Santa Sofia di Licata per mille euro. Lo vidi in una partita in mezzo alle Madonie in un paese sperduto di cui mi sfugge anche il nome. Presi anche Tolomello dall’Iccarense, così come i vari Mazzara, Barbara. Così come i prodotti del vivaio granata che poi intrapresero delle carriere come Aloi, Mulè, Fonte, Cucchiara, Brasile e Ferrara. Nella mia esperienza da responsabile ho prodotto più di due milioni di euro per il Trapani. Mulè lo presi svincolato dal Palermo ed al Trapani ha fruttato un milione e cinquantamila euro. Siamo stati tra i migliori otto d’Italia per la categoria Giovanissimi Nazionali dell’annata ’99 contro il Milan di Donnarumma, Atalanta, Parma ed altre realtà del massimo campionato italiano. Probabilmente se la proprietà avesse avuto un maggior controllo nel settore giovanile, questi ragazzi si potevano portare in prima squadra e fare ciò che è stato fatto con Mulè».

TRAPANI SENZA IL TRAPANI

«L’estromissione non mi ha sorpreso, al contrario di quanto accaduto nei mesi precedenti. Quella del Trapani era una morte annunciata. Sono rimasto deluso nel momento in cui qualcuno mi ha chiamato ed ha provato a prendermi in giro. Visti quei comportamenti capii la marcia sbagliata delle cose. Purtroppo, ahimè, così è stato e i fatti ne sono stati conferma. Mi aspettavo la retrocessione, al di là delle capacità dell’allenatore e dell’organico, che ha ottenuto meritatamente la salvezza sul campo. Fossi stato al posto di qualcuno, a chi per ultimo ha cercato, forse, di salvare il salvabile avrei dato la possibilità per un breve periodo di vedere realmente quali erano le intenzioni di colui che per ultimo è arrivato. In maniera forse inopportuna, invece, altri hanno preferito ostacolare e danneggiare ciò che costui avrebbe potuto fare: chi lo sa? Io questo non lo so. Se non andava a buon fine, l’avrei smascherato sicuramente. Mi rendo conto, però, che bisogna starci dentro nelle situazioni».

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