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Ezio Capuano: «A Trapani fui l’ultimo ad abbandonare la nave»

Intervista esclusiva al tecnico che allenò i granata nella stagione 1999/2000: un’annata assai particolare dettata dalle difficoltà economiche in cui viveva il club

Nell’estate del 1999 l’entusiasmo a Trapani era alle stelle. Era da poco cambiata la proprietà da Andrea Bulgarella a Pippo Rosano ed in panchina venne chiamato Ezio Capuano, alla sua prima esperienza lontano dalla Campania che in sede di presentazione disse: «La promozione attraverso i playoff è l’obiettivo minimo che quest’anno dobbiamo ottenere». Ai proclami seguirono i fatti, il Trapani costruisce, intatti, una squadra faraonica per tentare il salto di categoria in Serie C1. Un grande Trapani visto soltanto in amichevole con il Palermo e con il Catania il 12 e il 18 agosto 1999. Poi il caos più totale per le difficoltà economiche del club e con lo stesso Capuano che si ritrova in allenamento il collega Pietro Ruisi, che ancora non aveva ricevuto comunicazione dell’esonero dal Trapani. Una stagione poi conclusa con l’amara retrocessione sul campo con una formazione imbottita di giovani che aveva cercato di lottare fino all’ultimo con mister Capuano al timone, che è stato intervistato in esclusiva da trapanigranata.it.

Come vive la quarantena?

«È qualcosa che nella mia vita non mi era mai capitata. Sono due mesi che siamo rinchiusi nelle nostre abitazioni. Io ho la fortuna di vivere in un paese lontano dalla città con ampi spazi a disposizione. Anche se mi piace stare in continuo movimento, bisogna rispettare le regole per il bene di tutti. Io sto continuando ad aggiornarmi alla ricerca di inventare nuove situazioni, strategie di gioco per la prossima stagione. Vedo tante partite soprattutto in campi dove non ho tanta conoscenza dei giocatori: la tecnologia aiuta per vedere gare da tutto il mondo. Con la mia passione per il calcio la giornata passa in fretta».

A gennaio dal Trapani arrivarono al suo Avellino Dini e Ferretti. Come li ha trovati e che tipo di contributo hanno dato prima dello stop?

«Sono stati due giocatori importanti per quel poco che li ho avuti. Sono due professionisti seri che hanno dato un serio contributo alla causa. Dini nelle ultime cinque partite ha subito gol solo dal Bari. Eravamo una squadra in grandissima crescita prima dello stop ed eravamo entrati in zona playoff. Potevamo ancora migliorare la classifica in maniera esponenziale. Con un fallimento alle porte e tre cambi di società eravamo convinti che fossimo morti ed invece siamo stati bravi ad isolare la squadra. Oggi abbiamo una proprietà seria e tra le più forti d’Italia».

Come sarà il futuro del calcio?

«Il mio pensiero va soprattutto ai ragazzi che giocano in serie C e nei dilettanti. Io non penso tanto al prossimo anno, ma guardo al futuro ragionando sui seguenti 3-5 anni: saranno drammatici per il calcio italiano in generale, ma soprattutto per questi ragazzi. Molte società che hanno avuto dei problemi faranno peso sui giocatori, con moltissimi che saranno costretti ad accontentarsi. Spero che ci sia un aiuto da parte del Governo in maniera massiccia, altrimenti scompariranno diverse squadre e i calciatori resteranno senza contratto. Ci sarà la fame purtroppo».

Torniamo al passato. La società di allora fece tanti proclami e puntò su di lei per vincere quel campionato. Poi cosa accadde?

«Trapani è stata un’esperienza stupenda. Io ero molto giovane e venivo da tre anni a Cava de’ Tirreni. Mi ricordo che fui inseguito per essere a Trapani. Arrivai con un entusiasmo devastante e con il presidente Rosano facemmo una squadra faraonica, che, secondo me, avrebbe stracciato il campionato. Era una rosa fortissima e poi è andata come sa ognuno. Tutti abbandonarono la nave per le difficoltà economiche, tranne io. Da buon comandante scesi per ultimo dalla nave».

Ha un aneddoto che vuole raccontare della sua avventura a Trapani?

«Eravamo in ritiro alle Madonie e mi ricordo il proprietario dell’albergo che mi disse: “Ho avuto tante squadre, ma mai una formazione con così tanto rispetto ed educazione”. Ricordo anche un particolare di quel ritiro. L’albergo era dotato di una piscina ed andai a fare il bagno insieme al mio staff. Oltre a noi c’era anche una famiglia e mi ricordo che aiutai una bambina in grosse difficoltà respiratorie».

Dicono che lei a Trapani assicurava i pasti ai calciatori di allora.

«Confermo. Mia moglie cucinava ai tanti ragazzi che non avevano neppure da mangiare. In questo modo e con gli allenamenti portammo alla fine il campionato. Tutti scapparono in quella stagione: dal primo all’ultimo. Io invece rimasi a difendere quella bandiera del Trapani».

Al di là dell’esperienza vissuta, che ricordo ha della gente di Trapani e della città di Trapani?

«Mi ricordo tanta gente che pianse quando andai via: questo è qualcosa che rimane dentro. Io sono tifoso di tutte le squadre che ho allenato. Trapani è una città bellissima e mi sento ancora dopo tutti questi anni con tantissima gente. Mi ricordo che Pablito (storico tifoso granata ndr) che venne al mio matrimonio e lo sento ancora tutt’oggi, così come mia moglie che ha mantenuto diverse amicizie con alcune trapanesi. Ogni volta che posso interagire o venire a Trapani mi fa un immenso piacere perché lì ho vissuto un’avventura unica ricca di tantissimi episodi e per questo auguro le migliori fortune».

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